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Come cucinare il minestrone: ricette da tutta l’Italia

Piatto povero della cucina italiana o ricetta fantasiosa? Abbiamo chiesto ai soci Coop le loro ricette. Cosa abbiamo scoperto? Che non è di certo un piatto light!

Prodotto Consumo Consigli 26 febbraio 2018

È un piatto povero della cucina italiana, che viene preparato sin dal tempo dei Romani. Il suo nome evoca qualcosa di dietetico, poco appetibile e saporito, uno zibaldone di ingredienti, tanto che nell’uso comune ha un’accezione di "insieme di cose confuso e disordinato". È il minestrone, tradizionalmente preparato caldo con tanti tipi di verdure diverse, da mangiare come piatto unico o come entrée, ma che in realtà diventa una delle ricette più versatili del Bel Paese, con una miriade di variazioni regionali ed eccezioni alla regola.
C’è chi lo fa in maniera super sostenibile con gli avanzi delle verdure del giorno prima; chi si ferma alla sua versione “base” e detox con carote, sedano, cipolla, pomodoro, fagiolini, patate e bietole; chi osa un po’ di più con spinaci, verze, broccoli, funghi e asparagi ed altre verdure stagionali; chi aggiunge pasta all’uovo, legumi come piselli, fagioli, lenticchie e fave oppure cereali come riso, orzo, farro; chi infine propende per una versione “premium” ben poco dietetica, facendoci sciogliere dentro pezzetti di lardo o di pancetta, sbattendo nel suo brodo un uovo o gustandolo con polpette di carne macinata.

E visto che Coop Alleanza 3.0 si estende dal Friuli-Venezia Giulia alla Sicilia, abbiamo deciso di fare un viaggio tra i bollori delle pentole e i cocci di terracotta con i nostri soci, chiedendo qual è la loro versione di uno dei piatti più antispreco ed eclettici dello stivale. 

Simpri jote, simpri jote e mai polente e lat" (“sempre jota, sempre jota e mai polenta e latte”): è una vecchia locuzione friulana che ci ricorda, mentre passeggiamo sul Mole Audace, la triestina Loriana, parlando appunto della jota, il piatto autunnale per eccellenza fatto con fagioli, cavolo cappuccio e patate, e insaporito con costine, cotenna o altre parti affumicate del maiale, che sembra addirittura affondare le radici del suo nome nel latino “jutta”, cioè “brodaglia”. Ora capiamo come fanno i triestini a scaldarsi dalla gelida bora!

Scendendo di corsa (dovremo pure smaltire le calorie, no?) in Liguria, incontriamo a Chiavari Gabriella, che al minestrone non rinuncia “neppure in ufficio, e anche d’estate, però freddo”. Per lei il menestrón a zeneize (“minestrone alla genovese”) deve essere fatto rigorosamente con patate, fagioli borlotti e fagiolini comprati dai bezagnin, può essere arricchito con zucca, funghi e cavolo durante la stagione invernale e con melanzane, fave e piselli in estate, mentre non devono mai mancare croste di Parmigiano, pesto aggiunto a freddo e pasta fresca come bricchetti, scuccuzu o taglierini. La prova del nove è il cucchiaio: immerso nel minestrone, deve restare in piedi!

Nel nostro giro dei focolari domestici d’Italia, tra sminuzzamenti, pignatte, taglieri e sobbollimenti, non poteva mancare il Sud, dove raggiunge le vette del gusto e della fantasia l’arte del “ministrare”, la parola latina da cui deriva il nome del nostro piatto passepartout, vale a dire “distribuire il cibo a tavola”.

A Teramo, Giulio fa del minestrone una “virtù”, e descrive in maniera sacra il rituale quasi magico e scaramantico di preparazione della zuppa, protagonista indiscussa delle tavole di festa del 1°maggio: 7 tipi di verdure, 7 di pasta, 7 di legumi, 7 di carne (tra cui piedi e orecchie di maiale, pancetta, guanciale, “pallottine” di manzo), il tutto condito da 7 tipi di aromi e olio in abbondanza. La preparazione? Ovviamente richiede 7 ore di cottura, da cui il nome “virtù”, perché per farlo ci vuole tempo, e tanta pazienza.

I soci calabresi Rosanna e Vincenzo hanno imparato dall’amatissima zia Carmela a cucinare la zuppa millecosedde: “Un tempo si preparava alla fine dell’inverno per liberare la dispensa dagli ultimi legumi avanzati prima dell’arrivo di quelli estivi”. Mille cose, come dice il nome stesso, finiscono nella pignatta: la rubiconda cipolla di Tropea - “Che fa piangere gli occhi ma focu si é bbonu!”- pancetta, verza, pomodori San Marzano - “Maturissimi però, eh” - la pasta a tubettini, l’olio - “Quello buono, mi prometti che lo scrivi, vero?”- e una bella spolverata di pecorino - “Stai abbondante, mi raccomando, che mica vogliamo lesinare!”.

E Francesca, che mentre scrive di minestre e minestroni pensa alla sua Sicilia, come lo prepara? Il nonno lo cucinava lentamente, in estate, nella penombra della sua cucina militellese piena zeppa di pentole di rame, quando fuori la campagna si infuocava per il sole in agosto, e lo serviva freddo, o appena tiepido. Dentro finivano i tenerumi, cioè le foglie tenere delle pianta di zucchine, una generosa quantità di pecorino, pasta corta, il tutto accompagnato da un bicchiere di Nerello Mascalese. E Francesca come lo prepara? A dispetto delle sue origini, e di nonno Antonino, acquista alla Coop il minestrone surgelato, un filo d’olio extravergine (a proposito, vuoi sapere 10 curiosità che lo riguardano?)… e il piatto è servito!

 

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