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Tra mito e leggenda: il vitel tonnè
Breve analisi di un’icona della cucina: tra enigmi linguistici, ricette e rivisitazioni
La storia che vogliamo raccontare ha come protagonista il vitello, ma non vi parleremo di fesa, scamone, cotture o contorni. Quello che segue è infatti un’avventura che mescola tradizione culinaria e… analisi linguistica!
Oggetto della dissertazione è il piatto principe degli anni ‘80, immancabile sulle tavole di tutti gli italiani, sia che lo preferiate con la maionese o senza, protagonista oggi di nuova fama e fortuna grazie alle varianti proposte da chef stellati e seguitissimi blogger: signore e signori, a voi la storia del celeberrimo vitello tonnato, conosciuto per anni come vitel tonnè!
È proprio da questo altisonante nome, che strizza l’occhio alla pronuncia francofona, che parte la narrazione. Sfatiamo subito un mito: il vitel tonnè è un piatto italianissimo, di francese non ha proprio nulla, anche perché se andate a Parigi e volete del vitello dovete ordinare del “veau”. Si tratta di un piatto di carne che nasce in Piemonte nel Settecento. All’epoca nella ricetta non si trovavano né la maionese, né il tonno, ma solo acciughe e capperi che venivano aggiunte agli avanzi del vitello lessato perché ritrovasse un po’ del gusto perso.
Da dove arriva allora il nome? La voce più autorevole è quella di Giovanni Ballarini, accademico nella Delegazione di Parma dell’Accademia Italiana della Cucina dal 1986. Secondo il gastronomo, “vitel tonnè” non nasce da un maldestro tentativo esterofilo di imitare un nome francese. La chiave è nella parola “tonnè” , che in origine doveva essere tanné, ovvero conciato, pasticciato. Poi, si sa, nel Piemonte dei Savoia, sia l’italiano che il francese erano lingue ufficiali e insieme avevano infarcito il dialetto piemontese di francesismi, ecco quindi il perché di quel “tonné” dal suono francese, che forse era anche un modo per dare pregio a un piatto invece tipicamente popolare, preparato con gli avanzi. Sempre secondo il Ballarini “si può pensare che tonnato volesse in un primo tempo significare cucinato come fosse tonno e che la ventresca sott’olio sia stata aggiunta in un secondo tempo, probabilmente attratta dal nome del piatto”.
Ad ogni modo, al di là del nome, la prima ricetta di vitello tonnato con tonno è datata 1891 e ha scriverla è stato Pellegrino Artusi nella sua “Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. Il celebre gastronomo romagnolo consigliava “vitella di latte, nella coscia o nel culaccio”, condita con le acciughe e poi bollita “con due chiodi di garofani, una foglia d’alloro, sedano, carota e prezzemolo”. La carne andava poi tagliata a fette sottili e tenuta “in infusione un giorno o due” in una salsa a base di acciughe, tonno sott’olio, limone, olio e capperi. Nulla, ovviamente, si buttava: “Il brodo colatelo e servitevene per un risotto”. Descrive poi anche una preparazione “invernale” quindi calda, dove la carne va arrostita, affettata e servita con la salsa di cottura addensata e arricchita da succo di limone.
Da allora questo piatto non ha più smesso di viaggiare ed evolversi. La prima grande rivoluzione avviene nel corso del Novecento con l’aggiunta della maionese. A partire dagli anni ‘60 si assiste alla sua lenta ma inarrestabile affermazione grazie, tra gli altri, a Guido e Lidia Alciati del ristorante Da Guido di Costigliole d’Asti. Appartengono alla storia più recenti le affermazioni di Carlo Cracco, che sostiene che il vero vitel tonnè non sia con la maionese ma con la salsa tonnata, mentre lo chef Heinz Beck de La Pergola di Roma ha invertito i due animali creando il “tonno vitellato”.
C’è anche chi ha tentato la strada della dolcezza, come lo chef Stefano De Gregorio, che ha rivisitato il vitello tonnato senza maionese aggiungendo il mascarpone alla sua salsa tonnata e creando il tiramisù di vitello. Senza contare le ricette di tutte le mamme, nonne e zie d’Italia in cui abbondano le versioni che prevedono l’aggiunta di uova sode, carote, patate bollite ma anche cetrioli, zucchine e perfino pomodori.
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