La danza del capitello

Parla la restauratrice: Daniela Pirro

Cultura Comunità territori 27 settembre 2022

Il nostro territorio è uno scrigno di tesori: l’Italia è ricca di manufatti artistici nascosti, da valorizzare e tutelare perché sono una parte importante della nostra cultura e identità. Ridare nuova vita alle opere d’arte, fare in modo che siano fruite dalle persone, è quello che ci siamo riproposti di fare con il progetto Opera tua  promosso da Coop Alleanza 3.0 con Fondaco Italia, Touring Club e Unesco dal 2017. Un progetto che ha visto i soci della Cooperativa essere i protagonisti nella scelta della valorizzazione del patrimonio culturale locale.

Ammiriamo, ora che i lavori sono terminati, il Capitello della danza: un’opera medioevale in marmo del XI secolo, ritrovata a Sant’Andrea all’Isola, di fronte al porto di Brindisi, conservato nel Museo Archeologico Regionale Francesco Ribezzo di Brindisi, diretto dall’architetto Emilia Mannozzi.

L’opera rappresenta una danza di dodici figure alternate maschili e femminili, che si snodano attorno al fusto, tenendosi per mano, abbassando e alzando le braccia all’altezza delle spalle. La ditta Artistica Pirro ha curato interamente il restauro, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza ABAP delle province Brindisi e Lecce. Ci interessa conoscere più da vicino chi si occupa della valorizzazione del patrimonio artistico: abbiamo così incontrato la restauratrice Daniela Pirro che, con Nicola Delvecchio, si è occupata dell’intervento di restauro sul capitello. 

Nel restauro del capitello sono stati utilizzati il microscopio digitale e indagini eseguite con raggi ultravioletti: come e quanto è cambiato il tuo lavoro grazie alla tecnologia? È corretto dire che questi nuovi strumenti facilitano o rendono più preciso il tuo lavoro?

Le nuove tecnologie hanno modificato radicalmente la società facendo emergere nuovi paradigmi, permettendo una conoscenza sempre più endogena e puntuale così da ridurre il margine di errore, operare in modo selettivo e scientifico e, consentitemelo, sviluppare poetiche e linguaggi profondamente nuovi tra restauratore e opera. Certo, l’utilizzo delle tecnologie digitali necessita di competenze e capacità progettuali specifiche. L’opera in restauro lancia dei segnali quasi sempre espliciti al tecnico: tuttavia le indagini diagnostiche consentono di fare un’analisi scientifica dello stato di salute del bene e di ricercare la metodologia più idonea. Nel caso del Capitello della Danza sono state preferite le indagini diagnostiche non invasive, così da non ledere in alcun punto il manufatto. Il bene era un tempo policromo, poi rimaneggiato in più edizioni, nel corso dei secoli. Con l’analisi mediante fluorescenza UV e microscopio digitale ci è stato possibile individuare tutti i frammenti di pigmento originale, differenziandoli dalle superfetazioni policrome che andavano rimosse. Con queste tecniche la pulitura è stata eseguita al millimetro, con un ingrandimento che andava da 400-470X ai 700-900X ed una illuminazione a 5mpx e coassiale. Tramite i raggi UV-A a onda lunga, è stato possibile differenziare o evidenziare materiali che non risultassero chiaramente distinguibili a una osservazione macroscopica, mettendo in luce situazioni di disomogeneità altrimenti non individuabili. Materiali diversi, apparentemente uguali per colore e trasparenza in luce visibile, presentano una differente composizione chimica e rispondono quindi diversamente se sottoposti ad altra fonte di irraggiamento, come quella UV. Sul Capitello i raggi ultravioletti si sono rivelati utilissimi per accertare l’omogeneità delle stesure cromatiche e la presenza di ritocchi, nonché mettendo in evidenza molecole organiche presenti sulla superficie dell’opera, dovute a protettivi o a materiali utilizzati in precedenti interventi di restauro.

È stato bello vederti ogni giorno sui social documentare le fasi dei restauri. Quanto possono questi nuovi canali di comunicazione social e la passione di chi lavora aiutare a dare attenzione la giusta attenzione alla cultura e alle opere d’arte e conseguentemente attrarre risorse economiche e investimenti?

Tutti noi facciamo esperienza della comunicazione. Ogni giorno. A scuola, sul lavoro, nella vita privata. Come ci ricorda Paul Watzlawick: “Non si può non comunicare”. Ogni nostra parola, gesto, azione, persino la posizione del nostro corpo dice qualcosa di noi agli altri, in maniera consapevole o no. Dunque, la comunicazione, declinata e sfaccettata com’è oggi su infiniti piani, è ormai connaturata alla nostra quotidianità. Non siamo più soltanto fruitori dell’informazione, ma produttori, producers, utenti attivi e consapevoli nell’uso delle nuove tecnologie. Sento che siamo chiamati a rapportarci in modo etico ai nuovi mezzi di comunicazione. E se Comunicare deriva dal latino “communicatio” (agg. “communis” = ciò che non è proprio) e indica il mettere in relazione qualcuno con qualcosa affinché diventi patrimonio condiviso, allora la comunicazione presuppone dunque un rapporto di scambio e di reciprocità, come ci indica la radice del termine, “cum” (con) + “munus” (dono). Per me comunicare è un atto creativo che si fonda sullo scambio, permea la nostra vita quotidiana e dà alle nostre azioni un senso e una giustificazione. Ecco perché mi pongo l’obiettivo di informare e creare contenuti che possano in qualche modo incuriosire, aggiornare gli utenti sullo stato di avanzamento del restauro, nonché su tutte le operazioni necessarie affinché un bene possa trovare nuovo vigore e recuperare bellezza. Tutto ciò è per me una sorta di missione formativa, perché solo legandoci a un oggetto, riconoscerne la bellezza o l’importanza, conoscerne la storia, renderlo parte del nostro quotidiano, permetterà ad altri di legarsi a quel bene, averne cura, custodirlo, promuoverlo, anche. E se un manufatto artistico così pregevole e affascinante come il Capitello della danza è giunto fino a noi dopo quasi mille anni, è un nostro dovere ed una nostra responsabilità preservarlo e consegnarlo alle generazioni future.

 

Sono prevalentemente femminili le mani che si occupano di ridare nuova vita ai tanti capolavori italiani. Che consiglio vuoi dare alle nuove generazioni di restauratrici?

Ho diversi colleghi uomini che operano nel restauro con assoluta professionalità e maestria, eppure in nove casi su dieci – così dicono le statistiche italiane - sono le donne a prendersi cura del patrimonio culturale. Il restauro è una professione complessa: al vastissimo e permanente studio, va affiancata una passione costante, una capacità spesso acrobatica, pazienza fuori da ogni unità di misura, attività continua di ricerca e anche tanta fatica fisica. La bellezza è fragile: difenderla ci rende custodi di questa fragilità e, paradossalmente, rende più forti noi, ne sono convinta. Alle nuove restauratrici (ma anche ai nuovi restauratori) o a chi voglia appassionarsi e intraprendere questo meraviglioso viaggio, sento di dire che l’idea di un restauro fatto sempre col pennellino è un’idea romantica che va in qualche modo superata e va accompagnata al suo lato tecnico e scientifico. Il restauro, e qui forse mi sbilancio, è materno e, per questo, è anima e prassi, è schiaffo e accoglienza, è pensiero e azione, è cura ed educazione. Sì, un’opera ci educa, ma va anche educata, va indirizzata a sapersi riadattare alle nuove situazioni termo-igrometriche, cronologiche e contestuali in cui, gioco-forza, si trova catapultata; un’opera va educata ad affidarsi alle mani di chi la cura e a spogliarsi di ciò che per anni l’ha offuscata. L’opera stessa ci parla, suggerisce, indica al restauratore la strada da compiere, il percorso da intraprendere, le ferite che cercano balsamo. Chi restaura non sta un passo indietro né un passo avanti. Chi restaura fa costantemente un passo accanto all’opera in cura: la fa rinascere, la fa emergere, la esalta, dialoga con essa, la ama.

Raccontaci un’opera che hai restaurato in passato che ha avuto per te un significato particolare e una sulla quale avesti voluto lavorare.

Ho il privilegio di operare nel campo del restauro dal 2000, per cui diventa difficile, per me, dichiarare quale sia il bene a cui io resti maggiormente legata. Con ogni opera si crea un legame, un filo che ci terrà uniti per sempre. Il Capitello della danza mi ha consentito di maturare un rapporto unico, forse perché i dodici soggetti danzanti avevano caratteristiche, costumi, volti, posture, dettagli, capigliature, sguardi così diversi e così vari. Mi è parso che ognuno mi sussurrasse la propria storia all’orecchio, intonasse una nota della musica che ballavano da 900 anni, ognuno mi ha mostrato, fiero, le mani strette con la propria amata o il proprio amato, senza distinzioni di tempo, genere, razza, in una ritrattistica scultorea multietnica e ieratica che lo scultore ha reso magistralmente e che ora, liberata da tutte le concrezioni calcaree e le superfetazioni, sono visibili a tutti, dopo essere apparse ai miei occhi. Un privilegio di cui godo ogni volta nel mio lavoro. Sul capitello, poi, ho avuto la fortuna di realizzare un restauro a vista nel bellissimo contesto del Museo Archologico Regionale Ribezzo grazie a una intuizione della Dottoressa Luisa Rosato della SABAP BR e LE e della Direttrice del Museo, l'Architetto Emilia Mannozzi. Operare sotto gli occhi dei visitatori mi ha permesso di tessere relazioni, scambiare pareri, rispondere a curiosità, innescare nel fruitore il desiderio di conoscere meglio il bene, il suo percorso di rinascita e tutto il progetto Opera tua. Un’opera su cui vorrei lavorare? In realtà fatico a trovarla, perché oggi sono giunta alla conclusione che sono le opere, ogni volta, a cercarmi, a sceglieremi affinché me ne possa prendere cura e possa, curando loro, amare un po’ più me stessa.

Il Sud è un territorio ricco di tesori culturali immensi: raccontaci i pro e i contro del tuo lavoro in questo museo a cielo aperto. Com’è essere un’imprenditrice in ambito culturale in questo contesto?

Il Sud è un forziere d’oro intrappolato su un fondale marino. È così che lo immagino, spesso, così ricco com’è di bellezze, reperti, beni e meraviglie spesso ignorate, dimenticate, sottovalutate o, ahimè, maltrattate. Fortunatamente ci sono amministrazioni, enti, cultori, mecenati ( come Coop stessa) e le Soprintendenze che operano molto affinché questa fucina di bellezza trovi la sua giusta dimensione e venga valorizzata in ogni sua sfaccettatura. Certo, imprendere culturalmente da donna meridionale è una sfida importante, non voglio negarlo, ma io sono tornata al Sud con un preciso intento civile ed etico e non voglio tradire la mia terra che ha tanto da offrire ma che tanto dona, tessendo relazioni e reti tra professionisti e realtà virtuose che esistono e lavorano in modo magnifico. Il lavoro è titanico e c’è ancora molto da fare, ma confido molto anche nelle iniziative e nelle azioni di salvaguardia, segnalazione e cura del singolo cittadino, convinta che ciascuno di noi possa fare la differenza.

Cosa ne pensi delle partnership di tipo mecenatesco fra pubblico e privato che si stanno moltiplicando negli ultimi anni per sopperire alla difficoltà nel reperire le risorse?

Le iniziative di partenariato pubblico-privato costituiscono uno strumento fondamentale per finanziare attività di tutela e di valorizzazione di beni culturali. E se Schiller e Kallias nel loro Cartas sobre la educación estética affermano che “L'esigenza più urgente del tempo è l'educazione alla sensibilità, e non solo perché è un mezzo per rendere la vita un’intelligenza più perfetta, ma anche perché contribuisce a perfezionare quell'intelligenza”, allora uno studio sistematico dell’estetica, dell’etica, della storia delle culture orienterebbe le nuove generazioni al bisogno della protezione e della valorizzazione dell’arte, innescando nel cittadino il bisogno di salvaguardia del bello e la ricerca dei mezzi per perseguire questi risultati. Il mecenatismo contemporaneo, dunque, può essere una strada per innescare nel cittadino filantropia, etica, senso del bello, responsabilità, tutti valori indispensabili per magnificarci e migliorare il mondo e noi stessi. E Opera tua unitamente ad altre virtuose realtà mecenatesche, persegue proprio questo nobilissimo fine e io sono fiera di collaborare con una fucina culturale così pregevole. 


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