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Il linguaggio di genere, perché le parole sono uno strumento di inclusione
Una intervista a Fabrizia Dalcò, membro della nostra Commissione etica, storica e specializzata in studi sul femminile
Nella nostra serie di interviste ai componenti della Commissione etica di Coop Alleanza 3.0, dopo l'intervista a Giorgio Riccioni, attuale Responsabile etico, e a Ombretta Ghiraldi, che ne è la Presidente, incontriamo Fabrizia Dalcò, storica, specializzata in studi sul femminile e da sempre impegnata nel tema delle pari opportunità.
Ho sempre studiato la storia delle donne, e anche nel mio lavoro presso il Comune di Parma mi sono occupata di pari opportunità e linguaggio di genere, quando ancora erano temi di nicchia. Tra linguiste se ne parla da decenni, ma solo negli ultimi anni, grazie all’attenzione ricevuta sui social anche per l’impegno di intellettuali come Michela Murgia, il tema si è diffuso al di fuori della cerchia accademica, consentendo alle studiose di ottenere maggior visibilità e di riuscire a diffondere il tema.
Com'è arrivata alla Commissione etica di Coop Alleanza 3.0?
Partecipai a “La città di Antigone”, di Festina Lente Teatro e dell’associazione Vagamonde, con donne native e migranti, realizzato con il sostegno di Coop Alleanza 3.0. Dopo quell’esperienza, mi sono candidata nel consiglio di Zona Parma Est, del quale poi sono diventata presidente. Il mio impegno in Coop è continuato e oggi sono parte della Commissione etica.
Qual è il collegamento tra etica e linguaggio di genere, che porta la Commissione a occuparsene?
Coop Alleanza 3.0 ha da sempre un'attenzione particolare per la parità di genere e le pari opportunità. Affrontare il tema del linguaggio può essere un ulteriore passo, perché il modo di nominare le cose è fondamentale: ciò che includiamo nel linguaggio esiste, mentre ciò che non nominiamo viene escluso. La lingua italiana ha forme maschili e femminili, ma non il neutro. Ad esempio, se dico "assessore" è automatico pensare a un uomo, dire "assessora" (corretta forma femminile dal punto di vista grammaticale) è importante per indicare che quella carica è ricoperta da una donna. Questo è il percorso che vorremmo portare avanti: includere attraverso il linguaggio come strumento di parità. Stiamo lavorando affinché la questione del linguaggio di genere possa essere vista come un tema non marginale. L’obiettivo è stimolare la costruzione di un ambiente sempre più inclusivo e moderno.
In che modo il linguaggio può prevenire e contrastare le discriminazioni?
Il linguaggio ha un impatto enorme. La prima linguista a occuparsene è stata Alma Sabatini nel 1987, con un testo fondamentale, “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, in cui si evidenziavano le resistenze ad accettare le declinazioni al femminile di alcune parole, soprattutto se riferite a figure che, nell’immaginario collettivo, sono di prestigio. Per esempio, “cameriera” come femminile di cameriere è normale, mentre c’è resistenza a definire “ingegnera” una laureata in ingegneria. Ma entrambe le parole hanno la desinenza in “ere/era”. È quindi evidente che non è una questione grammaticale.
Da allora è stata fatta un po’ di strada e oggi termini come “sindaca”, “avvocata”, sono utilizzati. La resistenza, però, resta forte. Per questo la battaglia delle linguiste continua, esprimendosi anche con mezzi adatti a raggiungere il grande pubblico, come i social e i podcast. Penso, per esempio, a Vera Gheno e Cecilia Robustelli: le loro pubblicazioni sono importanti e sottolineano quanta discriminazione sottende il linguaggio che utilizziamo.
Siamo nel mese della Giornata contro la violenza sulle donne. C’è relazione con la discriminazione attraverso il linguaggio?
Sì, la violenza passa anche attraverso il linguaggio. Parliamo di linguaggio sessista, che attraverso le parole diventa un tipo di violenza presente ma meno diretta: psicologica, economica. Frasi come “stai zitta”, “non capisci niente”, “non sei neanche capace di…” , che vengono usate in famiglia, sentite dai figli, sono terreno fertile per la violenza.
Cosa vorrebbe trasmettere ai soci e alle socie di Coop Alleanza 3.0?
Vorrei che il tema del linguaggio di genere fosse percepito come un elemento di crescita e modernità. Parlare di questo in tutti gli ambiti della Cooperativa può contribuire a creare luoghi e spazi di lavoro più inclusivi. Questo è l'obiettivo: fare in modo che il linguaggio sia strumento per l’inclusione e la parità.